Gli inibitori di pompa protonica sono una categoria di farmaci spesso prescritti per la malattia da reflusso gastroesofageo, patologia derivata da un’eccessiva produzione di acido gastrico che possono portare dolore al petto, tosse cronica, disturbi del sonno e raucedine. Molti studi hanno evidenziato come l’assunzione di questa categoria di farmaci possa essere associata a disturbi nutrizionali, metabolici e malattie infettive e il loro uso prolungato ad anemia, carenza di magnesio, fratture correlate all’osteoporosi e proliferazione batterica intestinale. La causa principale di tutti questi disturbi, può essere ricercata nella minore diversità a livello di microbiota nelle persone che si genera nei soggetti che assumono regolarmente farmaci inibitori di pompa protonica, come conferma uno studio pubblicato sulla rivista Microbiome. Il microbiota è l’insieme di migliaia di miliardi di batteri (di gran lunga superiore a tutte le altre cellule del corpo umano) che risiedono nel tratto gastrointestinale. Questi batteri sono utili a sostenere tutto, dalla digestione alla sintesi di vitamine e alla regolazione del sistema immunitario. Dieta, genetica e influenze ambientali sono tutti fattori che contribuiscono alla salute del microbioma intestinale. Gli inibitori di pompa protonica possono alterare il microbioma con importanti conseguenze sull’organismo che possono anche arrivare a diverse carenze nutrizionali quali calcio, potassio e magnesio. E’ importante dunque cercare di evitare l’assunzione di questa categoria di farmaci se non strettamente necessari anche perché, cambiare stile di vita e supporto nutrizionale può essere, molte volte, sufficiente per affrontare i sintomi di reflusso acido. Per esempio, può essere utile mangiare piccoli pasti, evitare di cenare troppo vicino al momento di coricarsi, non assumere alimenti che contengono alcol (vino, birra, superalcolici, etc..) che possono scatenare i sintomi.